Si dice che l’amigdala sia la componente del cervello responsabile dei ricordi emotivi; quindi, in un certo senso, quando noi abbiamo delle immagini fisse impresse nel nostro cervello, sono frutto di questa. Queste immagini sono come frame bloccati, cristallizzati grazie a ciò che ci ha coinvolto emotivamente.
Per questo dell’infanzia conservo alcuni ricordi che sono veramente come fotografie, anche se con il tempo è inevitabile purtroppo che queste fotografie sbiadiscano o vengano ricostruite. È un po ‘come nella nave di Teseo, dove la nave viene ricostruita ogni volta e alla fine ci si chiede se quella fosse effettivamente la nave; questo processo mi porta sempre a chiedermi se quelli che ho siano del tutto i miei ricordi o immagini ricostruite, pezzo dopo pezzo nel tempo; se non siano invece ricostruzioni frutto di angoli bui nella mente, dove si annidano traumi, dolori, sofferenze.
Certe volte mi fermo a pensare, e la frase che mi viene in mente è quella che per me ormai è diventata come un mantra: “non ho paura di tutto ciò che ricordo, ma di tutto ciò che ho dimenticato”.
L’ATTESA DI UN FIGLIO E IL CONFRONTO CON IL ME STESSO BAMBINO
Da molto tempo vige in me una consapevolezza: la vita, oltre a tutto ciò che è, è anche dolore. Una consapevolezza amara, ma che non è mai stata un motivo per arrendermi.
Ad oggi sono qui, sono passati anni dalla mia infanzia, dalla mia adolescenza; sono cresciuto, ho ucciso e ricomposto varie parti di me; ricordo le versioni di me del passato come se fossero altre persone. Come se avessi detto addio, ad un certo punto, a quegli altri me, lasciando che questi mi guardassero da lontano, soprattutto il me stesso bambino: colui con cui vorrei parlare.
Se potessi averne la possibilità, vorrei sedermi vicino a lui, abbracciarlo. Essere una figura di riferimento per quel me stesso così piccolo e ingenuo, pieno di domande innocue ma profonde, quelle che solo i bambini sanno chiedersi, sanno fare. Aiutarlo ad avere le risposte, instradarlo, senza presunzione di costrizioni o regole da seguire, ma essere per lui una guida, quella che consente ad un bambino di seguire la strada migliore per se stesso.
E ora che la mia compagna, l’amore della mia vita, è incinta del mio primo figlio, certe volte mi viene difficile quantificare la mia emozione; questa non si esterna nel modo giusto, o meglio, nel modo canonico, atteso, in pianti o in parole per forza d’amore. A volte le emozioni che provo faticano ad uscire, contenute come sempre in una sorta scrigno; le riconosco, le quantifico, ma nonostante tutto, quando poi vengono esternate, sono davvero forti.
LE PAROLE CHE VORREI DIRE A MIO FIGLIO
Penso tante cose, molte cose. Innanzitutto, ti chiedo perdono, figlio, perché il mondo in cui vivrai e le persone che ti circonderanno, non saranno mai puri e all’altezza dell’amore che ti darò, che ti daremo. Pian piano conoscerai tutto questo, e io sarò per te il padre, che anche se non può cambiare il mondo, cercherà di essere colui di cui avrai bisogno per ogni tua fascia d’età. Conoscerai tanti me, tanti padri che sono me; dei padri che io sarò per ogni tua età, per ogni bisogno, ma soprattutto sarò padre, prima di qualsiasi altra cosa.
Ho vissuto per molto tempo nell’illusione di poter cambiare il mondo, come quelle anime dei giovani che non hanno paura di niente, nemmeno della morte, nella loro incoscienza più ingenua. Ma, come può essere molto prevedibile, non sono riuscito a cambiarlo. Così ho provato a fare altro; ho cercato di lasciare una traccia, forse piccola sì, un minuscolo segno nello spazio tempo… ma l’ho fatto e continuerò a farlo, soprattutto ora, così come è nella mia indole, non mi fermerò.
E ora ci sei tu: ti insegnerò e impareremo insieme; sì, anche io ho ancora da imparare, e lo farò attraverso te. Ti porterò sulle mie spalle, ad osservare le cose; giocherò con te senza che mai un’ombra possa spegnere la gioia del tuo volto. Crescerai e ti parlerò di dolore, del male, delle ombre, ma solo quando sarai pronto, rispettando sempre ciò che senti. Sarò il tuo eroe perfetto, avendo il tuo tempo, negli anni, di conoscere poi i lati di me più cupi, regalandoti così un padre autentico che ti solleverà ancora per portarti in alto quando sentirai mancare le forze fino a darti più forza di quella che io abbia mai avuto. Conoscerai il padre che ti parlerà di donne, che ti insegnerà a guidare, che ti metterà di fronte alla realtà. Ci sarà tempo per quello, e per molto altro.
Quando vedo tua madre, vedo una donna che dentro di sé non solo ha te, ma tutti i suoi sogni, che sono lì, a riposare, perché conosce il sacrificio, così come conosce il male e il bene di questo mondo; su di lei, posso dirti che è la persona migliore che tu possa avere accanto e che io possa avere accanto. La donna che amo, la compagna che ho scelto. Quella persona in grado di poter leggere il mio stato d’animo anche quando è criptico, anche quando fatica ad uscire fuori.
Per me, ci sarà del lavoro da fare, e sarò contento di farlo.
Diventare padre, diventare una famiglia: essere uniti
Il messaggio che vorrei lanciare ai futuri padri, ai futuri genitori, è questo: la famiglia è importante quando riesce ad essere unita. I due elementi che formano la coppia devono saper comunicare, riuscire ad essere due colonne forti che sorreggono tutto il resto, ma soprattutto capaci di sorreggere un bambino e dargli fiducia. Dargli modo di credere in se stesso, nei propri mezzi, senza essere genitori iperprotettivi, ma, piuttosto, costantemente presenti in maniera sana. Con affetto. E che sappiano guidare l’anima ancora giovane di quel bambino.
Questo articolo è stato scritto dal mio compagno, Aldo, autore anche lui di questo blog.