Qualche giorno fa ho ricevuto una mail che aveva per oggetto questa frase: “una storia di speranza”. La mail era di Riccardo, una persona che ha scelto di scrivermi per raccontarsi; la sua storia è arrivata in un momento in cui cercavo il modo migliore per lanciare un messaggio, ovvero: non smettere di sognare, aggrappati alle tue speranze, coltiva i tuoi bisogni e i tuoi desideri.
Quando cerco di lanciare questa tipologia di messaggi, ho sempre il timore di cadere in frasi banali, che possono apparire come estremizzazioni di un pensiero troppo positivo. Eppure non smettere di sognare è molto importante; anche quando sembrano non esserci più le condizioni per farlo, si rivela il modo migliore per proiettarsi verso un futuro che può far rifiorire la nostra vita nel riscatto.
La storia di Riccardo, quella che racconto in questo articolo, è la dimostrazione che crederci, reagire alle difficoltà, battersi per un sogno, non solo è possibile, ma è anche doveroso, verso noi stessi, farlo. È la storia di un uomo che ha saputo reinventare se stesso inventando qualcosa per gli altri: uno sport, un libro, un marchio.
LA PIAGA DEL PRECARIATO
«Mi chiamo Riccardo Ciullini e volevo raccontare di una grande piaga: il precariato nel mondo dello sport, nella fattispecie nel mondo dei bagnini. La mia storia non è così rara; è fatta di lotta per riscuotere tutti i mesi, nell’impossibilità di avere un contratto regolare con i contributi pagati, di punizioni ricevute per ribellarsi a tutto ciò».
Questa storia comincia così, con un tema molto sentito: la piaga del precariato. Aver ricevuto la possibilità di dare valore a questo racconto di vita mi ha entusiasmata molto; detto banalmente, nella nostra vita quotidiana, il lavoro è diventato uno dei perni principali. Si sà, lavorare è necessario per accedere ad ogni agio, dal più piccolo e insignificante, al più grande e urgente, necessario (senza considerare ciò che entra a far parte dei cosiddetti sfizi).
Il precariato è inoltre causa di incertezza nella vita di una persona e, come immagino tu sappia già, l’incertezza perenne può provocare angosce, depressione, sentimenti negativi. Il mio entusiasmo però, deriva non solo dalla possibilità di dar voce a questo fenomeno, ma anche da ciò che leggerai tra poco.
DAL PRECARIATO AL WATERBASKET: UN SOGNO PER FAR SOGNARE GLI ALTRI
«Questa frustrazione di lavorare, nel mio caso per ben 30 anni, e non essere riconosciuto con un contratto di lavoro normale, mi ha portato a riversare buona parte della frustrazione pensando ad una realtà parallela, attraverso la fantasia e la creatività».
«Tutto questo comincia un giorno nel lontano 2002, con uno sport nuovo, dove i canestri galleggianti prendono forma sostituendo le porte galleggianti di pallanuoto. Ebbene si: la mia immaginazione diventa sport».
«Ho cominciato progettando dei canestri galleggianti, scrivendo il primo regolamento del gioco che, in seguito, avrei chiamato waterbasket. Successivamente, nel 2003, nasce la prima squadra, la waterbasket Firenze; questa, diventa la squadra più numerosa della piscina, assumendo un valore più ampio, quello di integrazione con ragazzi, ragazze, famiglie intere; ragazzi con disabilità, i quali all’occorrenza potevano giocare con un corpetto galleggiante che ne facilitava il galleggiamento al momento del tiro».

«Il waterbasket fu proposto anche a squadre con ragazzi con sindrome di Down e fui molto felice di poter, per qualche anno, lavorare nel comitato italiano Paralimpico. Con i primi tornei poi, sono arrivati anche i riconoscimenti ufficiali del Coni (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), del Comitato Paralimpico, della Federazione Italiana Pallacanestro».

Riccardo non si è lasciato trascinare dalla frustrazione, dal desiderio di abbandonare le sue passioni per i limiti imposti dalla sua condizione: ha scelto di sognare e di dar vita ad un sogno, permettendo agli altri di fare la stessa cosa. Ed ecco che, in un’estate del 2003, le sue fantasie di riscatto prendono vita nel waterbasket, un nuovo sport che ha aperto le porte di un sogno anche ai più fragili, regalando a questi la forza necessaria per affermarsi.

Ostacoli all’orizzonte
«Il waterbasket fu un bel sogno realizzato ma non diventò, purtroppo, un lavoro a tutti gli effetti, per mancanza di un piano economico, mancanza di organizzazione; ancora oggi esiste per la volontà di tante persone che ci mettono tanto del loro tempo e proprie risorse economiche».
«Nel frattempo la quotidianità e le lotte lavorative portarono, finalmente, al cambio di gestione della piscina, anche se con un finale bizzarro: non tutti i lavoratori erano stati riassunti dalla società nuova, compreso il sottoscritto (nonostante mi fossi più esposto e avessi maggiormente contribuito economicamente). Grazie poi ad un grande senso di solidarietà degli altri lavoratori, che fecero a meno di 3 ore lavorative alla settimana, tutti gli altri vennero riconfermati».
Il vecchio e il mare: la rinascita attraverso i ricordi
«Un ritrovamento casuale di un vecchio dvd “Il vecchio e il mare”, poco dopo l’insediamento della nuova società, mi riportò indietro nei ricordi: quelli di gioventù; a mio padre, amante dei racconti di Ernest Hemingway, amante, come me, della pesca. Queste forti emozioni assunsero un grosso significato, così grande da scommettere la mia rinascita attraverso questi ricordi».
Queste parole di Riccardo, mi hanno fatto riflettere molto: spesso cerchiamo la speranza fuori di noi, nel tentativo di sentirci vivi solo se all’esterno troviamo un punto d’appoggio per i nostri sogni e BIsogni. Solo se all’esterno vediamo accolte le nostre necessità. Ma deve davvero essere così per forza? La speranza va ricercata solo oltre il confine di noi stessi?
A mio avviso, scavando dentro di noi, in ciò che siamo, in ciò che siamo stati e che a volte con fatica accettiamo (il nostro passato), troviamo pronti gli strumenti necessari per ciò che vorremmo essere. L’ispirazione che ci spinge ad agire, a credere nella realizzazione di qualcosa; la forza che ci fa resistere all’abbandono, quello verso la rinuncia dei nostri sogni.
«Mi sentivo come Santiago, il vecchio pescatore, che aspettava con fiducia il suo Marlin per ben 87 giorni, non prendendo niente, aspettando come me l’occasione della vita. Ma, allo stesso tempo, ero anche come il Marlin che lotta con tutte le forze per sopravvivere. Nasce così il marchio di abbigliamento Prince of the Sea con il mio simbolo; il pesce Marlin che avrebbe campeggiato su tutti gli svariati capi e accessori realizzati singolarmente per essere messi in vendita su internet».

IL SALTO DEL MARLIN
«Molta perplessità, e talvolta stupida invidia in chi pensava che un bagnino potesse limitarsi a fare solo il suo lavoro, non mi scoraggiarono, anzi! Fu così che incontrai Alessandro, un uomo di mezza età che viveva con una piccola pensione, ma nonostante tutto sembrava più un nobile decaduto, data l’eleganza e i modi raffinati. Alessandro sposo’ il mio progetto. Tutto sembrava partire bene, ma all’orizzonte il covid, le piscine chiuse per mesi, senza uno stipendio e con un sogno che sembrava morire ancor prima di nascere».
«Non fu così; con l’arrivo dell’estate le piscine ri-aprirono, una grande amicizia tornò ancora in mio soccorso, quella di tanti bagnini, istruttori di nuoto, atleti che, trasformati in modelli, vollero riconoscersi nel mio simbolo di speranza, il Marlin, Prince of the sea. Nel frattempo poi nuove sfide: un libro, Il salto del Marlin – Le avventure di un bagnino ribelle, edito da Porto Seguro e una canzone, The prince of the Sea scritta insieme a Fabio D’Andrea, un cantautore e compositore».

«Non so se la storia avrà successo, ma il messaggio vuole essere quello di non smettere mai di sognare e di non rinunciare alle proprie idee; al di là del fatto che il viaggio ti faccia arrivare o no alla meta, vale sempre la pena farlo. Spero che questo mio racconto di vita sia piaciuto e che, con un po’ di visibilità, possa dare un piccolo contributo a più persone nel reagire alla difficoltà».
Reagire alle difficoltà con la speranza
Il tema affrontato nel raccontarsi di Riccardo, richiede una sensibilità particolare ed è, purtroppo, una questione della quale si parla davvero poco. La precarietà, la paura di non riuscire a realizzare un sogno, le speranze sospese, l’incertezza dei giorni… situazioni e condizioni che, chi più chi meno, affrontiamo tutti.
Al messaggio di Riccardo voglio aggiungere solo una cosa: nutrire le proprie speranze non è mai sbagliato. Qualunque sia la tua condizione, non abbandonare i tuoi sogni. So che può essere difficile e talvolta la strada più semplice è quella di provare in tutti i modi a soffocare e spegnere ciò che accende realmente la nostra volontà di fare, di realizzare. La sfida che devi proporre a te stesso/a, invece, è quella di provarci. Provare ad intraprendere quel viaggio anche con il rischio di non arrivare mai alla meta.
Come dico sempre: meglio un fallimento, piuttosto che un “chissà come sarebbe stato SE”.